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opoli!»
La folla ripete il Viva, ma con voci già languide e fiacche. La monotona cantilena dell'oratore ha agghiacciato l'entusiasmo del pubblico.
— Anche quest'altro s'è dato a conoscere, — mormorai di bel nuovo all'orecchio dell'amico. — Ora ascoltiamo l'ultimo.
«Cittadini! Dallo Spilbergo, dalle carceri di Josephstadt, dall'eculeo, sui gradini del patibolo, sulle vie tribolate dell'esiglio, torturato, battuto, straziato, lacero nelle vesti, affranto dalle catene, io non ebbi, non ho e non avrò che un solo grido: Morte ai tiranni! morte ai nemici della libertà! Morte ai ladri! Morte agli assassini! Morte! Morte!... e dannazione!»
— Morte! Morte! — rispondono alcune voci. Ma un colpo di gran cassa e lo squillo dei bombardoni ridestano ne' cuori l'ilarità perduta; gli oratori si ritirano dal balcone, le faci si spengono, si chiudono l'invetriate: la guardia civica e i suonatori si allontanano seguíti dalla folla, che seconda la musica con cantici lieti.
— Ora a noi, signor Lanfranconi!
— Povera Ifigenia! — esclama Eugenio. — Ella non s'è lasciata vedere.... Ella non prese veruna parte alla cerimonia. Senza dubbio la poveretta è rimasta in qualche angolo solitario della casa a piangere in segreto la dabbenaggine del padre.
— Ciò che ella pensi saprò fra pochi minuti. Tu, mio buon amico, vattene all'albergo e mettiti a letto; domattina verrò a svegliarti, e ti condurrò fra le braccia della tua fidanzata.
— Che? tu non vieni con me all'albergo?
— Io dormirò questa notte in casa del signor Lanfranconi. Io amo andar per le spiccie nelle faccende mie.
— Ma come?... in qual modo?...
— Lasciane a me la cura.
Eugenio si allontana di alcuni passi, poi si volge per vedere se io mandi ad effetto il mio disegno. Vedendomi entrare a passo di carica nella casa della sua fidanzata, che a lui pareva una fortezza inaccessibile, il mio povero amico rimane pietrificato dallo stupore.