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gran cassa e i bombardoni destano tutti gli echi delle montagne di Bergamo; le case oscillano come per terremoto; io porto le mani alle tempia per difenderle da quell'assalto violento di note: e nondimeno, al cessare dello strepito, batto le mani con trasporto onde conciliarmi le simpatie degli astanti. — Eh! non ci sono tutti, — mi dice un vicino, — se la banda fosse completa.... «A quest'ora sarei sordo, rispondo mentalmente.»

Ma il chiasso non è finito. Al fragore degli strumenti succede il baccano delle voci umane.

— Viva il signor presidente!

— Viva!

— Viva il signor Lanfranconi!

— Viva!

— Viva il capitano della guardia nazionale!

— Viva!

— Viva il protettore della società democratica-italo-latina!

— Viva!

— Fuori! Al balcone! Viva!!! —

Le grida raddoppiano, l'impazienza della folla assume un carattere minaccioso. È tempo di cedere al pubblico entusiasmo.

Le imposte del balcone si aprono, ed il signor Lanfranconi preceduto da due figuri con la torcia alla mano, presenta finalmente il suo rispettabile individuo.

— È desso! — mormora Eugenio. — E quell'altra che ora comparisce è la sorella nubile... Là in fondo, non ti par di vedere un'altra donna...?

— È uno zuavo...! — rispondo io.

— E chi saranno quei due figuri che portano la torcia?

Senza dubbio i tuoi rivali; l'incarico che stasera si sono assunti, mi è di buon augurio.

Queste parole io scambio coll'amico, mentre la folla muggisce. Frattanto il signor Lanfranconi, vestito della completa uniforme da capitano, risponde agitando il fazzoletto bianco alle dimostrazioni popolari, e straluna gli occhi come un buffo comico.