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esi sarà ministro, l'ha detto il grosso — e se mai il signor ministro dimenticasse le promesse che ci ha fatte dalla vettura, lasciate fare al vostro sindaco. Andrò a Torino quando meno mi aspettano, dirò all'uno dei due quel che va detto. E se mai volessero fare il bell'umore.... allora plunf! abbasso il ministero di Torino! Viva l'Italia unita!... e Capizzone capitale! —
Tre giorni dopo giunse a Capizzone la notizia che i Tedeschi erano entrati in Milano.
CONCLUSIONE MORALE.
La rivoluzione del 1848 fu feconda di eroi e di martiri generosi. Altri alle barricate di Milano, altri a Goito e Curtatone, altri allo Stelvio spesero santamente la vita per l'indipendenza d'Italia. Rientrati a Milano gli Austriaci, i superstiti valorosi seguirono l'armata di Carlo Alberto per agguerrirsi a nuovi cimenti, o spinti da impeto giovanile tentarono imprese più arrischiate che opportune. Quanti prodi caduti sul campo! Quanti generosi consunti dal dolore e dagli stenti sul cammino dell'esiglio! Ma le provincie italiane ad una ad una ricaddero nel servaggio, e vestirono il lutto per oltre dieci anni, l'occhio ed il cuore rivolti al Piemonte, unico asilo di libertà, unico faro di speranza.
Che avvenne del nostro eroe durante il tristo decennio? Teodoro Dolci, come abbiamo veduto, non era più padrone di sè medesimo.
Madonna Ortensia si impadronì del fantoccio rivoluzionario per spingerlo colla prepotenza della sua volontà nelle sfere più elevate della diplomazia; tentò valersi di un falso eroe per soddisfare alla propria ambizione. Ma i sogni di Ortensia non si realizzarono. Venti volte nel corso di dieci anni i coniugi Dolci mutarono programma politico per compiacere a questo o a quel partito, per conciliarsi le simpatie degli uomini più influenti sui destini d'Italia. Da una in altra città emigrando, oggi a Firenze, domani a Roma, più tardi a Parigi, di là a Torino, madonna Ortensia non trovò mai nè giustizia nè equità in nes