Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
ndono cento voci. Ma prima che l'oratore riesca a dominare quel baccano, gli conviene attendere una buona mezz'ora.
Frattanto il convoglio si arresta presso l'arco trionfale; e i contadini l'uno all'altro addossati fanno mille commenti intorno agli sposi.
— Qual è l'uomo, e quale la donna?
— L'uomo dev'essere il più grasso; non vedi che egli ha un paio di mustacchi da far invidia a un dragone?
— Teodoro non era tanto grasso quando partì dal paese.
— Io l'ho veduto ch'egli era lungo e giallo come una carota...
— La vita del campo sviluppa le forze, e fa bene alla salute.
— Qual è dunque la sposa?
— Non vedi? ella sta seduta a sinistra ravvolta nello scialle...
— Come? una donna col cappello a cilindro?
— A Milano ho veduto delle donne in calzoni, e perfino in abito da militare.
— Ma io ti dico che quello dello scialle è il signor Teodoro.
— E ti pare che l'altro col naso di peperone e quella barba da capretto possa esser la sposa?... Vedi... il sindaco si avvicina a lui per leggergli il discorso.
— Zitto una volta! sentiamo il discorso del sindaco... poi decideremo chi abbia torto o ragione.
«Illustre campione della patria! — comincia il sindaco, volgendosi alla signora Ortensia, la quale in abito da amazzone, con cappello a piume tricolori e due pistole alla cintola, copre col naso e colla persona lo sposo mingherlino.
«Illustre campione della patria! Al piedestallo della tua gloria tu vedi in oggi prostrati i tuoi concittadini, figli tutti di un paese, o dirò meglio borgo, che forse fra pochi anni potrà chiamarsi città...»
Don Dionigi, accorgendosi che il sindaco ha preso un equivoco, si crede in dovere di interromperne il discorso, e di invitarlo a passare dall'altra parte della carrozza ove siede Teodoro.