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lazzo Marino.


CAPITOLO XI.

Pane pei gonzi.


Le campane suonano a festa. Le contrade di Capizzone son pavesate di coperte e di lenzuoli; all'ingresso del villaggio, sotto un arco trionfale ornato di mirti, di edera e di fiori di papavero leggiadramente intrecciati, la banda musicale di Almenno strepita una marcia accanita. Il sindaco, il sagrestano, il beccamorto, spalleggiati dalla guardia cittadina, attendono l'arrivo di Teodoro Dolci, il quale in compagnia della sposa verrà a visitare la terra de' suoi padri! Il nipote di don Dionigi ha colto il frutto della sua celebrità, sposando quattrocento mila franchi, e una vedova grossa e nasuta come un elefante. Ortensia Rancati ha compiuto il capriccio della rivoluzione.

Presto! arme al braccio, signori militi della guardia nazionale! Presto! piva in becco e fiato alle trombe, signori musicanti di Almenno! Il corteggio nuziale si avanza. La vettura del Brunetto coronata di pampini e foglie di zucche procede maestosa verso l'arco trionfale.

Sul sagrato già tuonano i mortaletti... Due colpi di gran cassa preludiano all'inno guerriero; i suonatori ruggiscono dalle trombe; il popolo prorompe in urli di viva.

La vettura si avanza. Don Dionigi seduto in serpa, colle ali immense del cappello triangolare contende agli sguardi impazienti la vista degli sposi. — Abbasso il cappello! — gridano alcune voci. La guardia nazionale contiene a stento le ondate della folla... Il Brunetto, per avanzarsi presso l'arco trionfale, modera il pubblico entusiasmo, menando giù frustate a destra e a sinistra sul muso dei plaudenti.

— Silenzio! fine alla musica! — grida il sindaco, levando anch'egli il bastone sulle teste dei suonatori. — Ora tocca a noi... Or si deve leggere il discorso.

— Bravo! bene! il discorso!... — rispo