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in tua mano diverranno istrumento dell'italiana indipendenza. Non oso offerirti la mia mano. Esser tua sposa sarebbe l'ideale della felicità.. ed io non spero che Iddio me la accordi... Nondimeno io saprei amarti, adorarti come una divinità! Io ti seguirei sul campo di battaglia; con te dividerei i pericoli, saprei morire al tuo fianco.... No... io non sono donna da porre ostacolo all'impeto battagliero di un eroe. Se mai un giorno lo sconforto ti sorprendesse, la mia voce, i miei consigli ti spronerebbero a nuovi cimenti!.. Oimè!... Dove mi traggono le mie illusioni fallaci? Teodoro, mio eroe, mio ideale, perdonami e compiangimi!

 «Piazza Fontana N. 1229.
                                                 «ORTENSIA RANCATI.»

Teodoro finiva di leggere per la terza volta lo scritto inebbriante, quando il presidente del Comitato di pubblica sicurezza entrò nella camera.

— Toglietemi da questa prigione! — gridò Teodoro gettandosi ai piedi dell'autorevole personaggio.

— Io venni appunto per liberarvi; a patto che cessiate una volta dall'adoperare la vostra influenza per suscitare disordini, e sopratutto vi guardiate dal parlare di repubblica.

— Vi giuro... che se riesco a vendicarmi...

— Vendicarvi! e di chi?

— Di quegli infami che mi hanno tradito! di Dorotea Melazza e di Giacomo Maneggia! —

Il presidente balzò indietro quattro passi, uscì dalla camera, e raccomandò al secondino di vigilare attentamente sul prigioniero.

«Quest'uomo è incorreggibile! — pensava il magistrato novizzo, scendendo dalle scale. — Che mai ha voluto intendere coi nomi di Dorotea Melazza e di Giacomo Maneggia? Ch'egli alludesse alla costituzione ed al Governo provvisorio!... Bisogna che io chiarisca questo nuovo imbroglio! La patria è in pericolo!»

Mentre il presidente del Comitato di pubblica sicurezza faceva i gradini a quattro a quattro, agitato da mille terrori, una donna di circa trentacinque anni