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vi chieggo di sciogliere il matrimonio illegittimo di Dorotea Melazza e di Giacomo Maneggia. Altro premio io non domando, altro compenso dei tanti sacrificii che io resi alla patria!... Oh vedremo se il governo sarà sordo alle mie parole!... Vedremo se i voti di un cittadino, che è già morto tre volte per la causa italiana, non verranno esauditi!»
Animato dalla passione, il giovane montanaro levossi in piedi, e riprese il cammino. L'ingratitudine di Dorotea gli fece obliare lo strano accoglimento ricevuto dallo zio e perfino le bastonate. Il dio della vendetta spingeva Teodoro attraverso le campagne.... Nell'impulso quadruplicato delle gambe e delle braccia interminabili, il nipote di don Dionigi sorvolava alle siepi ed ai promontori come ruota di mulino in balìa del vento.
I giornali di quell'epoca, che tanto onorarono l'eroe di Capizzone, non dicono s'egli compiesse il viaggio a piedi, o profittasse di qualche vettura a caso trovata. Fatto è che il giorno 29 maggio, verso le due del pomeriggio, Teodoro Dolci e Carlo Obrizzi comparvero in sulla piazza di San Fedele in Milano per prender parte ad una manifestazione popolare contro il governo provvisorio.
Troppo son note e troppo funeste all'Italia le sconsigliate discordie di quell'epoca, perchè io mi compiaccia di descriverne gli episodi.
Se i folli tentativi dell'Urbino e d'altri o fanatici, o ambiziosi agitatori, non furono principale cagione dei disastri avvenuti, contribuirono senza dubbio a screditare la nostra rivoluzione ed il paese nostro nell'opinione dell'Europa. Le dissensioni dei partiti giovarono ai nemici d'Italia, non solo per riconquistarla, ma anche per disonorarla, e vilipenderla dappoi.
Perchè quelle grida feroci? che vuole questo popolo minaccioso e fremente? Egli stesso lo ignora. Ha seguito una bandiera; si è lasciato trascinare da una voce eloquente; ha gridato, ha urlato per mille bocche una parola incompresa.
Teodoro Dolci e l'Obrizzi si cacciano nella folla urlando anch'essi.