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verghe, e, dietro ordine del capitano, circondarono la casa di don Dionigi... Dàlli! bastona! ammazza! È un ladro! È un tedesco! È un morto! È una spia! È un diavolo uscito dall'inferno! Per eccesso di zelo i villici rotano le verghe nel buio, e l'un l'altro si pestano il dorso maledicendo al capitano, che non ha pensato ad accendere una torcia. Per circa un quarto d'ora nel villaggio di Capizzone regna la più deplorabile anarchia.
Quando piacque alla provvidenza, il sindaco del villaggio intervenne nella mischia con un lampione inchiodato ad una pertica. Le schiere si ricompongono; l'ordine si ristabilisce. Il sindaco e il capitano entrano nella casa assediata, e inciampano nelle gambe di don Dionigi, che giace come corpo morto sul pavimento.
CAPITOLO IX.
La dimostrazione repubblicana.
Teodoro Dolci era avvezzo alle sorprese della fortuna; nondimeno
l'accoglienza ricevuta nel villaggio nativo era tale da lasciargli
profonda impressione nello spirito non meno che sulle spalle. Nei
pochi giorni passati al campo, Teodoro di qualche modo aveva compresi
gli enigmi della rivoluzione; le idee dell'ingenuo montanaro si erano
alquanto schiarite col succedersi dei nuovi avvenimenti. Ma la scena
di Capizzone, il grido terribile dello zio, il suono delle campane a
stormo, l'allarme della guardia nazionale, il tumulto, le bastonate
ripiombarono il nipote di don Dionigi in un caos di dubbi e di terrori.
Come cervo inseguito, Teodoro camminò tutta notte per la campagna. Allo spuntare dell'alba, il poveretto sedette sopra un muricciuolo, e volgendo lo sguardo alle montagne native, proruppe in lagrime e singhiozzi.
Per comprendere tutto il dolore di quell'anima, è mestieri conoscerne tutti i segreti. Prima di recarsi alla casa dello zio, il povero Teodoro, giungendo a Capizzone, aveva ricevuto una terribile