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— Caterina!

— Don... Dionigi!

— Non hai udito...?

— Che... cosa?

— Qualcuno ha bussato alla porta...?

— Han bussato... a quest'ora?

— Spero d'essermi ingannato.... De profundis clamavi ad... te Domine....

Don Dionigi e la Caterina mandano un grido. Tre colpi violenti hanno scossa di bel nuovo la porta. E il gatto impaurito balzò dal fornello rovesciando una pentola con orribile fracasso....

Il prete e la servente rimasero immobili parecchi minuti, guardandosi in faccia senza trarre un sospiro nonchè proferire parola. Cessata la paralisi del terrore, don Dionigi fece una smorfia col labbro accennando di sorridere e, levandosi in piedi, mosse tre passi verso la porta.

— Via, fammi lume, Caterina! Vieni qui... non temere di nulla.... Senza dubbio gli è il figlio di Bortolo che viene a chiamarmi per suo padre malato.... Non è la prima volta che si batte alla mia porta ad ora avanzata. Chi è?

— Son io, — risponde di fuori una voce fioca e lugubre simile al rantolo d'un moribondo. — Aprite, ch'io muojo di fame e di stanchezza. —

Don Dionigi e la Caterina si consultano di bel nuovo con una occhiata ripiena di terrore; poi svolta la chiave nella toppa, e levate le spranghe, il prete apre la porta... e tosto una larva d'uomo si precipita nella camera, e due braccia interminabili si appendono al collo di don Dionigi.

Un grido spaventevole salì in quel punto alle stelle.

Tutto il villaggio di Capizzone ne fu desto; i cani, i gatti, le oche, tutti gli animali bipedi e quadrupedi, piumati od implumi, risposero in cento favelle. Caterina, lasciando il padrone ad arrabattarsi nelle tenebre coll'anima uscita dal purgatorio, corse alla casa del sagrestano e le campane suonarono a stormo. I militi della guardia nazionale, in mutande e berretto da notte, uscirono in sulla piazza armati di