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netta effonde nella camera un pallido chiarore; dal focolare semispento sorge una nebbia leggera leggera, che si perde con insensibili gradazioni fra le tinte della bruna soffitta.
— È morto! — esclama don Dionigi, inginocchiandosi sul gradino del focolare....
— È proprio morto! — risponde Caterina.
— Morto sul campo di battaglia.... senza i conforti della fede, senza l'assoluzione di un prete!...
— Che Iddio gli usi misericordia!
— Crede ella, don Dionigi, che il nostro Dorino avrà avuto tempo di far l'atto di contrizione?
— Purchè una palla di cannone non gli abbia portato via la testa d'un solo colpo, nel quale caso io dubito assai che un uomo possa pensare alla salute eterna.
— Don Dionigi!... don Dionigi!...
— Caterina!...
— Mi era sembrato di sentir scricchiolare l'armadio!
— Via! non venirmi fuori colle tue solite paure, Caterina!...
— L'altra notte ho proprio veduta l'anima del signor Teodoro aggirarsi intorno al mio letto.
— Non dire sciocchezze... Caterina!... pensiamo piuttosto a fare un po' di bene per quel povero figliuolo, nel caso che egli si trovasse ancora in purgatorio.
Don Dionigi e la Caterina, che al cominciar del dialogo stavano inginocchiati alle due estremità del focolare, a poco a poco si sono avvicinati, ed ora si trovano nel centro, l'uno stretto all'altro come fossero cuciti.
Ai dubbi, ai lamenti succedono le preghiere. I Requiem, i De profundis, i Miserere si alternano a voce spiegata dapprima, poi con monotono brontolío; da ultimo con accompagnamento obbligatorio di sbadigli. La fiamma della lucerna crepita nella agonia... Mentre il prete col rantolo in gola si appella a tutti i santi del calendario, Caterina ed il gatto rispondono russando l'Ora pro eo.