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aveva lentamente predisposta l'anima di don Dionigi al terribile colpo: nondimeno egli rimase profondamente ferito dalla morte di Teodoro. L'ingenuo religioso che, per tanti anni predicò dal pulpito il rispetto alle autorità legittime e l'obbedienza passiva, il vecchio amico dell'ordine, cui la paura era legge d'istinto e codice la rassegnazione, nel leggere il bullettino funebre, proruppe in accenti disperati:

«Oh! i nostri hanno ben ragione di ribellarsi... di prender le armi e di esterminare que' briganti senza fede e senza misericordia! Che aveva fatto di male quel povero figliuolo, perchè lo perseguitassero e lo chiudessero in prigione?... Quei mostri hanno ucciso una creatura innocente... hanno tolto ad un misero vecchio l'ultimo conforto! Ed io... sciagurato! io ho potuto dubitare di Pio IX! ho prestato orecchio a quei vili susurroni, che mormoravano contro il capo supremo della Chiesa perchè s'era fatto a bandire la santa crociata! Il Signore mi ha severamente punito della mia poca fede! Andate, figliuoli! prendete uno schioppo, una sciabola, una ronca, un badile... Unitevi a Carlo Alberto... che Iddio lo benedica! e combattete contro i nemici della giustizia e della religione!»

Il giorno 28 maggio, nella chiesa di Capizzone si celebrarono le esequie solenni all'anima di Teodoro. Sulla porta della chiesa, addobbata di neri panneggiamenti, leggevasi una iscrizione redatta da don Dionigi, nella quale si riepilogavano le gesta del martire glorioso.

Dopo la cerimonia, il capitano della guardia nazionale passò in rassegna i quattordici militi del Comune che, armati di forche e rastrelli, eseguirono prodigiose manovre. In mancanza di schioppi e di artiglieria, il sindaco diede fuoco a dodici girasoli, che l'un dopo l'altro scoppiarono in sul sagrato fra gli hurrà bellicosi della popolazione.

Sono le nove della sera. Don Dionigi, oppresso dalle fatiche e dal grave cordoglio, si chiude nella propria abitazione per isfogare la piena degli affetti nell'animo della fedele Caterina.... La modesta lucer