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benemerito della patria più che dieci anni di servizio regolare... Qual è l'arme da voi favorita? Io posso offrirvi carabine, pistole, lance, tromboni...

— Io non chieggo d'esser armato, — rispose Teodoro, — ma se vostra eccellenza vuol farmi rendere il temperino che mi fu tolto il 2 gennaio prima che io andassi in prigione, le saprò grado di avermi risparmiata una spesa...

— La guerra dei coltelli e dei temperini è finita... Ora, grazie al cielo, abbiamo dei buoni fucili anche noi, e quanto prima avremo dei buoni cannoni. —

Ciò detto, il Negri, levandosi in piedi, ordina al tamburino di battere a richiamo. Tutti i militi della guardia nazionale accorrono sulla breccia, e si schierano in rango. Le cortine del padiglione sono levate, e il capitano conducendo l'allievo di don Dionigi innanzi alle schiere:

— Militi cittadini! — dice a voce alta, — ho l'onore di presentarvi nel signor Teodoro Dolci, uno de' più valorosi e benemeriti patriotti che l'Italia possa vantare. In compenso degli innumerevoli servigi che il signor Teodoro ha già resi alla patria, io lo nomino sergente maggiore nel corpo dei volontari, che fra poco partiranno con me per la spedizione di Rocca d'Anfo. Presentate le armi al nuove graduato!

— Viva l'Italia! viva il capitano Negri! — prorompono le schiere, — viva il sergente maggiore! e presto al campo! Sterminio e morte ai Tedeschi! —

I tamburi rispondono alle grida dei soldati; la folla del popolo, che tuttavia sta adunata sotto gli Archi, manda un ruggito di acclamazioni, mentre il Negri, levatosi la ciarpa tricolore, la cinge a Teodoro, quale insegna del grado.

— No... no!... Eccellenza! — grida il nipote di don Dionigi, tremante di paura e di sospetto. — Io non ho fatto nulla, proprio nulla perchè io meriti esser trattato di tal guisa... Altro io non domando se non di morire oscuro ed ignorato nel mio paese...

— Che? rifiutereste il grado? preferireste servire nelle file dei semplici soldati?... Signor Teodoro Dolci, voi siete un eroe dell'antica Spar