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ppertutto.
PARTE PRIMA
L'odio.
I.
C'è un paesetto in Val di Intelvi che si compone di cinque o sei case rustiche. Gli abitanti son tutti contadini, ad eccezione di un prete, il quale non è parroco, non è cappellano, non porta verun titolo che definisca il suo grado nella gerarchia ecclesiastica — è il prete del paese. S'egli non sapesse leggere il breviario e masticare gli oremus della messa, lo si direbbe un bifolco mascherato cogli abiti del sacrista. I suoi grossi scarponi perdono le legaccie, le sue brache non hanno colore. Da otto anni il suo collare consiste in una grossa cinghia di pelle assicurata dietro l'occipite da una fibbia. Egli ereditò quel distintivo pretesco dal suo ultimo cane bracco; un cane che fu ucciso da una palla tedesca nell'autunno del 1848, quando gli austriaci piombarono nella povera valle a esercitarvi le loro feroci rappresaglie. — Quel prete, per la santa memoria del suo bracco, non ha mai cessato di esecrare gli austriaci. Un uomo eccellente — e a mio giudizio — uno dei preti meglio accetti al Signore. Il suo nome è Don Remondo, ma i più lo chiamavano il papa di Val d'Intelvi.
Nel paesetto c'è una piccola osteria — vale a dire una casa rustica, dove si vende del vino, abitata da una famiglia di tre individui: un vecchio di setta