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vivo!... C'era bisogno di dar fuoco agli armadi e ai pianoforti per arrostire un povero diavolo qual io mi sono? Oh questa senza dubbio è la fine del mondo!
Presso porta Nuova il corteo trionfale si arresta, e fra le acclamazioni e gli urli della folla, il nipote di don Dionigi vien trascinato sul poggio che domina gli Archi, ove, sotto un magnifico padiglione, siede un uomo di circa quarant'anni, l'avvocato Antonio Negri, capitano e comandante del quartiere.
— Signor capitano! — dice l'Obrizzi, ponendosi la mano al berretto in attitudine militare, — ho l'onore di presentarvi un eroe, un martire della libertà italiana, il celebre Teodoro Dolci da Capizzone, di cui per avventura avrete inteso parlare. Il poveretto languiva prigioniero a Santa Margherita fino dal 2 gennaio. Noi lo abbiamo disseppellito poco dianzi, ed ora lo conduciamo dinanzi a voi, non dubitando che avrete caro di stringergli la mano.
— Venga...! venga pure l'eroe di Capizzone! Egli farà parte del nostro esercito di volontari che deve partire domani per Rocca d'Anfo. Ho bisogno di uomini senza paura, e, per quanto ho inteso dire, costui dev'essere un'anima dannata! —
Dietro un cenno dell'Obrizzi, Teodoro Dolci, che infino a quel punto è rimasto fuori della tenda, viene introdotto e presentato al capitano, il quale movendogli incontro e stendendogli la destra:
— Cittadino Dolci! — gli dice, — nel libro della patria il vostro nome sta scritto a indelebili cifre. Voi molto avete sofferto... e grande sarà la vostra ricompensa. Parlate! chiedete! I migliori impieghi civili e militari si offrono a voi. —
Teodoro, che a stento si regge in piedi, nè osa levare lo sguardo sul personaggio che gli dirige la parola, con voce tremante e rotta dai singhiozzi:
— Eccellenza, — risponde, — poichè ella vuol degnarsi di accordarmi la sua protezione, io la prego di farmi ricondurre al mio paese nativo presso don Dionigi e Caterina che probabilmente mi attendono da un pezzo. Le giuro che io non ho co