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Bolza, scendendo nel cortile della sua reggia. — Qual delitto ha commesso codesto furfante? Fate un po' ch'io lo vegga in grugno costui!... se non mi inganno l'ho veduto altra volta il manigoldo! Presto! frugategli indosso... mentre io mi sbrigo colle formalità del processo verbale. Questa non la è la giornata da perdersi in lunghi rapporti... Ehi! bel muso da forca! come vi chiamate? —
Il campagnuolo, istupidito dal nuovo disastro, tien l'occhio fisso nell'inquisitore senza rispondere parola, mentre il commissario Forconi, sbuffante di dispetto e di paura, enumera i delitti del catturato.
— Egli è uno de' pochi riottosi che rifiutano di fumare. Egli ha strappato lo zigaro di bocca a due uffiziali vestiti alla borghese. Egli ha tentato resistere alla forza pubblica. Egli ha esposto il nostro imperiale regio esercito di poliziotti ai pericoli d'una tumultuosa reazione popolare...
— Ebbene, signor faccia tosta? — riprende il Bolza volgendosi a Teodoro; — mi direte una volta il vostro nome?... Dovrò io farvi appiccare senza le debite formalità?
— Signore! io sono innocente! — prorompe Teodoro colle lacrime agli occhi. — Io sono un povero diavolo venuto dalle montagne di Capizzone per vedere l'ingresso del signor arcivescovo Romilli, e fui ferito non so da chi nè per quali ragioni in piazza Fontana...
— Che! sarebbe ella mai?... Mi consolo di cuore... Ma bravo! ma bene! E il commissario di Almenno voleva persuaderci... Gran talentone quel commissario!... E il nostro imperatore tiene al suo servizio codesti mangiapane!... Basta! a tempo debito lo serviremo anche lui, quel caro collega! —
Di tal guisa borbottando, il Bolza esamina gli oggetti rinvenuti nelle saccocce di Teodoro. Fra questi è un temperino rinchiuso in un astuccio e avvolto in parecchi fogli, un temperino che l'Obrizzi ha regalato al suo ospite qual pegno di amicizia.
— Ditemi un po', signor galeotto; vorreste spiegarmi per quali ragioni vi siete provveduto di questo istrumento di morte?...