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a agitazione, alle quattro del mattino prese commiato dalla servente, e uscì tutto solo di casa per raggiungere la vettura del Brunetto.
L'assenza prolungata di Teodoro, la lettera misteriosa pervenuta a don Dionigi, alcune frasi sfuggite al Brunetto la sera precedente, voci vaghe e confuse di disordini avvenuti in Milano, le inevitabili indiscrezioni della Caterina, suscitarono fra gli abitanti di Capizzone i più strani sospetti, le più assurde dicerie. Sul far della sera, il barbiere del villaggio, tornando da Almenno ove era stato a raccogliere notizie, narrava a' suoi compaesani che a Milano era scoppiata la rivolta, e che il nipote di don Dionigi avea messo in fuga un esercito di ussari a cavallo, uccidendone parecchi a colpi di bastone.
Quest'ultimo incidente trovò degl'increduli. Troppo era nota agli abitanti di Capizzone la fiacchezza e la timidità del nipote di don Dionigi, perchè l'eroico bullettino venisse accolto senza discussione. Ma il barbiere con giornalistica audacia impose silenzio alle obbiezioni:
— Vergogna! — sclamò egli, levandosi con autorità nel mezzo del crocchio. — Mentre tutta Italia rende giustizia ad un nostro concittadino, voi soli osereste muover dubbio sul suo valore?... Convengo che il nipote di don Dionigi non è il forte dei forti; convengo che prima d'ora egli non ha dato prove di grande coraggio... Ma il più gramo dei figli di Capizzone non val forse trenta gagliardi d'altro paese?
— Vero! verissimo! bravo! — gridarono cento voci.
Da quel momento nessuno osò opporsi al barbiere oratore.
CAPITOLO V.
Un processo verbale.
Il molto reverendo don Dionigi Quaglia giunge a Milano sul far
della sera. Mentre i soliti commensali stanno pranzando all'albergo
dell'Agnello, l'ingenuo sacerdote precipita nella sala.