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el sagrestano si aggira d'intorno, e attende il crudele fidanzato per fulminarlo d'una occhiata terribile appena sia disceso dalla vettura.
Gli abitanti di Capizzone ignorano i tragici fatti avvenuti a Milano. Don Dionigi ed il sindaco, i soli che nel paese leggano la Gazzetta uffiziale, ricevono i fogli arretrati di sei giorni, che prima di giungere a Capizzone, hanno percorse dieci o dodici case di Almenno.
Odesi in lontananza lo scoppiettio di una frusta, poi rumore di ruote... e la vettura del Brunetto compare all'estremo della contrada corteggiata da una nube di polvere. Don Dionigi e la Caterina aguzzano gli occhi... — Perchè mai Teodoro non ha ripreso il posto di serpa?... — Il buon prete, commosso, inquieto, interroga coi cenni il vetturino, ma questi fa l'astratto. Le angoscie, i terrori di don Dionigi aumentano... La carrozza è già prossima... la carrozza ha traversato la piazza... la carrozza si arresta... e Teodoro non mette il capo agli sportelli, Teodoro non istende una mano per salutare lo zio...
— Ebbene? ove è desso? che è avvenuto di nostro nipote? — gridano ad un tempo don Dionigi e la Caterina, correndo presso il Brunetto che già ha posto piede a terra.
Il vetturino, muto. Egli cava dal portafoglio una lettera, e crollando il capo in segno di mestizia, la presenta a don Dionigi.
«I caratteri non sono di Teodoro, il foglio è segnato di nome di sconosciuto, non vi è più dubbio: Teodoro dev'essere morto o gravemente ammalato.» Il terribile dilemma si affaccia alla mente del buon sacerdote, e gli occhi di lui, già pieni di lacrime, a mala pena distinguono le cifre. Ma le novelle contenute in quella lettera sono di tal natura, che nell'animo di don Dionigi il dolore è paralizzato dalla sorpresa. «Ciò non è possibile! — esclama egli — Chi scrive di tal guisa dev'essere un matto, ovvero qualche sciagurato che vuol prendersi spasso nel tormentarmi!»
Dal contesto della lettera, che noi riproduciamo fedelmente, a ciascuno sarà facile argomentare quali strane sensazioni agitassero il dabben sacerdote.