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sariamente moltiplicarsi per servire ai nuovi bisogni, ai nuovi comodi del secolo — impareranno anch’essi a leggere, a filosofare con voi? E qual sarà la catena per vincolarli alle cave tenebrose, al maglio rodente delle officine? Forse la coscienza del dovere? — Io credo, signor sindaco, che il vostro cenno affermativo sia un amaro sarcasmo. La coscienza dei propri diritti farà dire a questi paria conculcati: È oramai tempo che i felici del mondo prendano il nostro posto!

«Una volta — ai tempi dell’ignoranza e della superstizione — quando il paesano vegetava nella sua atmosfera più omogenea, quando l’operaio non si era ancora associato all’esaltazione ed all’ateismo — bastava un versetto del vangelo o una parola del curato per mantenere in questo povero popolo la fede del lavoro, e la rassegnazione alla miseria.

«Noi ripetevamo al villano: i ricchi godono la loro porzione di felicità in questo mondo, ma voi ne avrete a ridoppio nell’altro — beati coloro che soffrono, perocchè saranno consolati! — più soffrirete quaggiù, e più grande sarà la vostra esaltazione in paradiso.

«Gli scorati, i dubbiosi avevano fede nella parola del curato; tornavano ai campi, alle officine — lavoravano, soffrivano... e morivano nella speranza.

«Ah! voi credete utile e morale istillare la diffidenza e il sospetto in quei semplici cuori! Che faranno i vostri libri? Distruggeranno la fede e la rassegnazione sotto pretesto di combattere il pregiudizio. La vostra educazione griderà agli schiavi: «tutti gli uomini hanno uguali diritti», non è giusto che i milioni lavorino nel pianto perchè i pochi tripudiino nell’abbondanza e nel potere — animo, dunque! insorgete! domandate la porzione che vi spetta!...

«E sapete voi quale sarà la vostra porzione? (prose-