Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu/279


— 277 —


abbandoni dell’amante! Sventurato! Io dimenticava di aver dormito mezzo secolo, poiché quel mezzo secolo per me era stato breve come una notte. Potevo io figurarmi quella donna altrimenti, che vestita delle sue forme giovanili, della sua splendida bellezza?

«La porticella del gabinetto si dischiuse. Il fruscio di una veste di seta mi annunziò che ella entrava.

«— Angelo mio! — gridai gettandomi a terra per abbracciarle la tunica che sporgeva dai cortinaggi.

«— Tu! il mio caro Eugenietto! — rispose una voce rantolosa da vecchia decrepita; — qua dunque un bel bacio! Dio! come sei ben conservato!... Lascia dunque...

«E mentre al mio orecchio ringhiava quella voce da nonna, due labbra di cartapecora si imposero con violenza alle mie, e mi inchiodarono sulla lingua un paio di denti posticci... Io balzai in piedi esterrefatto... Sputai sul pavimento i due corpi eterogenei... e dopo aver guardato fissamente quella scarna figura di ottuagenaria, mi lasciai cadere sul divano come tramortito.

«Era dessa — era proprio dessa — la mia Sara — la mia marchesa — quella che un mezzo secolo addietro mi aveva dato un paradiso di ebbrezze!... Non riferirò tutto quello che avvenne in appresso fra me e quella donna. Noi conversammo due buone ore senza mai comprenderci; quello strano dialogo terminò con una scarica di singhiozzi. Allora la pregai perché mi fornisse l’occorrente per scrivere. E mentre io, dopo aver scritto poche linee, tornava a lei per congedarmi con un supremo e disperato addio, mi accorsi, all’immobilità del suo corpo, al pallore del suo volto, alla rigidezza della sua mano, ch’ella era morta di sincope...

«La cameriera, che entrerà fra poco nel gabinetto, troverà qui due cadaveri. A lei commetto l’incarico di consegnare ai fratelli il mio ultimo autografo, perché