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pigliato tante proprietà e distrutte tante vite, era appena ricordato come una sfuriata ridicola di pochi imbecilli. I nuovi rappresentanti della nazione protestarono contro gli abberramenti dei loro elettori; e lo stesso Casanova, l’Acclamato di Milano, il Redentore del popolo, il Messia dell’uguaglianza universale, nella adunanza del 30 Novembre dichiarava in pieno Parlamento che i suoi elettori, prendendo sul serio il programma da lui pubblicato per scroccare un milione di voti, aveano mostrato di essere una mandra di ciuchi. Un secolo addietro, i ciarlatani della politica non giudicavano altrimenti il criterio dei pecoroni che si affidavano alle loro ciance; ma non eran abbastanza civilizzati per dichiarare alla Camera i loro apprezzamenti.

Mentre il fascio degli equilibristi si andava scomponendo, i naturalisti guadagnavano aderenti. Nei centri più popolosi e più illuminati si aprivano nuovi Circoli. I recenti affigliati si prestavano con fervore da neofiti alla propaganda del principio. Nelle alte sfere governative, questa diversione dello spirito pubblico verso una riforma comparativamente retriva, era veduta di buon occhio.

Pel giorno quindici dicembre i naturalisti furono invitati ad un solenne comizio nella capitale della gioia1. L’importanza di quel convegno era rilevata dai giornali coi più strani commenti. Non uno degli illustri capi del partito sarebbe mancato all’appello; si trattava di deliberare intorno al modo ed al tempo dell’azione, si volevano discutere le controversie dei dissidenti, stabilire il credo unico ed universale della prossima rigenerazione europea.

Si parlava di un misterioso personaggio, di un antico

  1. Così era chiamata la città di Napoli.