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Il conduttore della volante, all’udire il fischio, lasciò calare il veicolo a quattro metri dalla testa dei reclamanti.
— Più basso! — gridò il Virey; — si vuol partire immediatamente.
— Più basso? — esclamò l’auriga di cielo in tono più beffardo. — Io son disceso di quattro metri, ora spetta a voi di salire altrettanto. Siamo, o non siamo equilibristi? Animo, dunque! Salite!
— Bella pretesa davvero! — sclamò l’Albani irritato. — Via! non son momenti di celie codeste! Vien giù!... Sarai pagato lautamente.
— Non potete salire? peggio per voi — rispose l’auriga di cielo; — e nemmen io posso scendere. Sono uomo di principii. Il vostro denaro non mi tenta... Chi più ha, meno ha diritto di avere. Il Bigino ha l’onore di augurarvi la buona notte. Viva Antonio Casanova e l’abolizione della moneta! Viva l’equilibrio sociale!
E cantando una gaia ballata, l’auriga fece risalire la volante, che andò a smarrirsi nelle brume vespertine.
Il tumulto cresceva nell’agro. Ai ribelli si aggiungevano i curiosi; pochi atti di violenza si commettevano, ma lo strepito saliva alle stelle. I rappresentanti del governo legale ripetevano indarno le ammonizioni.
Plochiù, il generale comandante della spedizione eletta a sedare la rivolta, prima di ricorrere ai mezzi estremi, esitava, temporeggiava, attendendo rinforzi. Verso le cinque pomeridiane, in luogo delle truppe arrivò un telegramma. Il generale lo lesse esprimendo cogli accenni del capo la più viva soddisfazione:
Assemblea generale in seduta permanente delibera ed ordina nessuna resistenza movimento anarchico generale — passi la volontà del paese — passerà presto. Dato a Berlino, ore quattro.