Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 256 — |
della grande rivoluzione, suscitata per naturale coincidenza di passioni politiche, in ogni quartiere popolato dei dipartimenti dell'Unione.
— Che si fa? — chiese il Virey all’Albani, traendosi in disparte per dar passo ad un pelettone di sorveglianti i quali si avanzavano intimando l’ammonito ad un gruppo di rivoltosi.
— Io sarei d’avviso che ci imbarcassimo bravamente in una volante, e ci facessimo condurre a Milano, senza preoccuparci dei nostri bagagli, i quali, c’è da scommetterlo, a quest’ora devono aver già assaggiate le garbatezze dei nostri futuri governanti.
— Credi tu che a Milano si abbia a godere maggior sicurezza?... Ma, via! Si può tentare... Forse giungeremo in tempo da poter assistere al saccheggio della mia villa. Vorrei che di quell’edifizio maledetto, nel quale ho sommerso tutti i milioni da me guadagnati coll’invenzione della pioggia artifiziale, non rimanesse più vestigio. Oggimai è penetrata nel mio animo questa convinzione, che ogni attentato violento fatto alla natura è opera da pazzo, per non dire da scellerato, e che io, al par di altri orgogliosi della mia specie, colla mia superba invenzione mi sono reso complice dei più grandi disastri che affliggono il mondo.
— Tu, dunque, vorrai essere dei nostri? — chiese il Virey radiante di gioia.
— Sì! per la vita dell’umanità! — rispose l’Albani con ardore entusiastico. — Torniamo alla natura! Il vostro programma quindi innanzi sarà il mio.
— Dunque?... A Milano?...
— A Milano!...
— Presto! Facciamo calare una volante!... Ecco là una aerea da due posti, che pare fatta per noi. Diamo il segnale!