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ciati nella medesima tomba. Orbene: nelle prepotenze a cui la Immolata si assoggetta vi è qualche cosa che assomiglia all’accoppiamento di un morto e di un vivo... Essere amata da quel mostro, dover subire i suoi amplessi, dover fingere al segno, ch’egli talvolta possa illudersi di essere amato!... È orribile... è spaventoso!...

— Da quanto tempo conoscete quell’uomo? — domandò il Virey.

— Da sei o sette mesi. Dal giorno in cui a Milano ebbe luogo l’esperimento della pioggia artifiziale ideata dal celebre Albani. Non potrò mai obliare le tremende parole ch’io lo intesi profferire in quella occasione. Al cadere delle prime stille, mentre dalla città si alzava un grido di sorpresa e di plauso, l’esplosione di un ghigno satanico mi trasse a rivolgere il capo. I miei occhi si incontrarono per la prima volta in quelli del basilisco. Ed egli, senza smettere il suo ghigno beffardo, e guardandomi fissamente: «applaudite! applaudite! — ringhiava colla sua voce cavernosa; — questo meccanismo, migliorato, corretto e opportunamente applicato, al meno danno potrà fra pochi mesi riprodurre il diluvio!»

Il Virey prestava la massima attenzione alle parole della Immolata e a sua volta diveniva tetro.

Il moto discendente della gondola avvertì lo scienziato che era tempo di avviare la conversazione sovra altro tema.

— Adunate le vostre forze — diss’egli; — cacciate dalla mente ogni avversa preoccupazione; il nuovo sacrificio a cui andate incontro darà la vita ad un fratello che ha resi i più segnalati servigi alla umanità. Poco dianzi avete nominato l’Albani, l’inventore della pioggia artifiziale. Orbene, sappiatelo: gli è appunto quell’insigne cittadino che reclama le vostre cure. Poco fa, nel gettar gli occhi sulla di lui effigie, le vostre guance si