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Il dramma non era che una indigesta e gaglioffa parodia dell’avvenimento della giornata, colle solite invettive ai consorti, ai tiranni, agli uomini della reazione.
Abilmente riprodotti a mezzo delle maschere guttaperche, sfilavano sulla scena i principali attori del dramma cittadino. Il Gran Proposto e il Barone Torresani ricomparivano in ogni atto per raccogliere le invettive del palco scenico, e quelle più irriverenti e chiassose della platea.
La produzione sortì l’esito che era da attendersi: fanatismo completo... Ma al momento in cui gli autori comparivano per la ducentesima volta al proscenio, il velario riparatore che copriva il palco numero sette si alzò improvvisamente, mettendo allo scoperto la sarcastica figura del Torresani.
— Signori e signore! — gridò il barone colla sua voce rantolosa e vibrata; — abbiate la compiacenza di fermarvi un istante per ascoltare la protesta di un libero cittadino!
Tutti gli sguardi si volsero al palco di prima fila, e i cinquantamila spettatori ammutirono come un sol muto.
— Signori e signore — riprese il Torresani nel generale silenzio; — nella mia qualità di ex—ministro di Sorveglianza pubblica io non poteva attendermi dagli autori del nuovo dramma delle allusioni o delle apostrofi gentili. A queste non intendo rispondere; io le ho ascoltate con indicibile compiacenza, le ho raccolte come un glorioso attestato di onoratezza. L’onore di un Capo di Sorveglianza, o altrimenti Questore, è posto sotto la salvaguardia dell’odio generale, ed io mi glorio di essere esecrato. Ciò che mi preme rettificare è una circostanza storica del dramma, la quale, se fosse accolta come veritiera, mi pregiudicherebbe grandemente sotto l’aspetto