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razioni delle moltitudini ignare; non credete voi che ci troveremmo più avanzati nel progresso?

«Che avete fatto voi, o cannibali del liberalismo? Voi diffidaste della verità. La vostra impazienza sanguinaria non sofferse gli indugi. In luogo di aspettare la convinzione, presumeste violentarla col terrore. Per voi fu delitto l’esitanza. Agli attoniti, ai perplessi, che consultavano la propria ragione e la propria coscienza per ammettere le nuove dottrine; ai timorosi, agli onesti che discutevano, voi gridaste con efferata baldanza: o seguirci o morire!

«Che avvenne? I girondini, i moderati di allora, votarono la morte della monarchia rinnegando una convinzione; ma il re li precedette di pochi mesi al patibolo. Da Luigi XVI a Robespierre, tutte le teste più illustri della Francia caddero inesorabilmente troncate. Il berretto frigio non impose alla ferocia briaca più del diadema reale. E qual rimase la Francia dopo quelle orgie di sangue? Una bottega da macello piena di terrore, esalante ribrezzo. Dopo ciò, meditate quella istoria, e comprenderete come l’orrore delle stragi e del sangue potesse più tardi ispirare l’avversione alle idee.

«Ma non tutte le idee, non tutti i principii dell’ottantanove soccombettero ai massacri della ghigliottina. Un genio fatale, sorto dalla rivoluzione, ne impose all’Europa quel tanto che essa era in grado di comportarne. Napoleone, il despota dei nuovi tempi, coi lampi e le folgori della sua potenza, parve precludere il ritorno al despotismo passato; il codice di Napoleone fu il solo, il positivo risultato della grande rivoluzione francese.

«Qual fu la riconoscenza dell’Europa verso quel grande? La gloria di cento vittorie, il fascino del genio, l’apoteosi del trono, tutti i prodigi operati da lui nel più meraviglioso decennio della storia contempora-