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pazienza dalla villa, e dopo aver errato alcun tempo nei quartieri più popolosi della città, si diresse verso il palazzo di Giustizia Civile.
La sala del Consiglio si apriva nelle ore pomeridiane, al principiare dei crepuscoli.
Quando l’Albani comparve alla piccola Tribuna degli appellanti, i trecento anziani già occupavano le scranne dell’Emiciclo. I cinque Seniori, ai quali spettava esclusivamente il diritto di interrogare e di discutere, già avevano compiuto l’esame dei molti documenti ammucchiati sulla tavola. Il Gran Proposto Berretta, calmo in apparenza, ma in cuore vivamente preoccupato, era assiso, colla testa raccolta fra le mani, alla tribuna di ragione.
All’apparire dell’Albani, si riscosse, alzò gli occhi, ma non ardì sostenere il lampo di uno sguardo che pareva sfidarlo.
I quattro compartimenti dell’anfiteatro superiore frattanto si inondavano di una folla di curiosi, avida di emozioni.
Un dibattimento nel quale dovevano trovarsi di fronte due grandi notabilità della famiglia, il Proposto Terzo Berretta e il celebre inventore della pioggia artifiziale Redento Albani doveva naturalmente destare nella moltitudine il più vivo interesse. La vertenza offriva altresì una speciale attrattiva ai malcontenti di tutte le classi, ai nullabbienti, ai federati dei partiti estremi, nemici naturali di ogni autorità costituita, bramosi di scandali e impazienti di lotte.
Allo scoccare dell’ora settima, il Presidente temporaneo degli Anziani annunziò l’apertura del dibattimento. Tutti i labbri ammutirono.
Tutti gli sguardi si volgerò al Seniore Inquirente che dal suo seggio elevato ripetè quattro volte il nome del Gran Proposto.