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prova di una legge, per la quale era vietata qualunque comunicazione fra due amanti fidanzati, l’Albani riportava a Milano tutto il suo amore e tutta la sua fede nella donna che già gli era sposa nel vincolo religioso; ma i suoi dubbi, le sue diffidenze, i suoi terrori non potevano dissiparsi completamente fino a quando, sul libro di petizione pubblica, non avesse letto l’adesione formale di Fidelia, e ciò che egli tremava di vedersi negato, lo assenso del Gran Proposto.

Ma l’ora, che doveva risolvere i suoi dubbi, che doveva metter fine a quelle ansie febbrili, era giunta. I dieci minuti trascorsero. Il termine legale di dilazione era spirato, e l’Albani poteva entrare liberamente nella città.

Salito in una gondola volante, ordinò al conduttore di prendere la via del Palazzo di Famiglia, laddove un mese prima, quasi alla medesima ora, egli era entrato coll’anima inebbriata di amore, per iscrivere la sua domanda di legittimazione civile al matrimonio religioso da lui precedentemente contratto colla figlia del Gran Proposto.

La volata fu breve. Disceso dalla gondola, l’Albani precipitò nel palazzo, corse alla sala di amore, si fece portare il gran libro, e dopo averlo sfogliato, arrestò gli occhi sulla pagina che portava la sua petizione.

Sotto i caratteri, una mano di donna, la mano gentile di Fidelia, avea tracciato queste poche linee, che l’Albani lesse avidamente.

«Io Fidelia, adulta, figlia di Terzo Berretta Gran Proposto di Milano, attestandosi unita dall’indissolubile vincolo religioso all’adulto Redento Albani qui sopra iscritto, aderisco di cuore, per quanto a me spetta, alla petizione di civile matrimonio formolata da lui salvo sempre il rispetto del veto paterno, come di legge, e l’adempimento delle cerimonie obbligatorie».