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tue braccia di neve.... Che io respiri il fresco alito della tua bocca!... Le mie labbra erano arse, e la sete di amore mi avrebbe consumato, senza il refrigerio di un tuo... bacio divino!

Così parlando, il Casanova si era impadronito della fanciulla attraendola al proprio petto colla potenza affascinante della volontà.

Fidelia, inebbriata da quelle parole, da quelle carezze, si abbandonò a lui come un corpo morto. I dubbi, i terrori erano svaniti. La sua faccia inondata di lacrime era divenuta radiante. In quel momento di suprema illusione, la fanciulla sognava il paradiso.

Quel sogno fu un lampo.

Nell’amplesso di quella larva adorata, Fidelia si attendeva una inondazione di delizie. Ma appena le labbra dell’avventuriero ebbero sfiorate le sue, la fanciulla arretrò con ribrezzo, mandò dal petto un grido affannoso, e cadde al suolo tramortita. Il bacio di quell’uomo, o piuttosto di quella maschera umana, le era sembrato gelido come il bacio di un morto.

Tutta questa scena era passata rapidamente, mentre le sorelle del Circolo, nel compartimento anteriore del palazzo, attendevano che Fidelia ripigliasse la canzone, ovvero ritornasse nella sala per prendere parte al convito.

Il grido della fanciulla destò lo sgomento nella piccola comitiva. L’anziana fece allentare il gran ventaglio, e le amiche di Fidelia accorsero tutte verso la gondola.

Quand’esse posero il piede nel gabinetto musicale, il Casanova era già scomparso; nessun indizio, nessuna traccia di lui.

Fidelia giaceva a terra coll’abbandono della morte. Le sue chiome, le sue vesti scomposte davano a supporre che ella avesse dovuto soccombere ad un assalto violento.