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di un giovane napolitano, certo Anselmo Furlay, abilissimo metamorfo.

Parrà inverosimile quanto io sto per narrare, e voi che mi udite, farete delle esclamazioni di meraviglia, forse anche crollerete il capo da increduli. Voi non riescirete a concepire questi nuovi perfezionamenti della acconciatura, dove la guttaperca è chiamata ad operare delle trasformazioni prodigiose. Ma io non avrò certo la pazienza di spiegarvi tutto un processo, che d’altronde può essere facilmente indovinato dagli spiriti arguti. A me basta accennare il fatto, a me basta di porre in rilievo i mezzi che concorrono a crearlo. La maschera ritratto non è una invenzione del secolo ventesimo; se avete letto i Cento anni di Rovani, vi sovverrete degli orribili scandali che ebbero a prodursi a Milano fino dal secolo precedente, per questo trovata della menzogna e della frode. Ma a quei tempi non si conoscevano le meravigliose proprietà della guttaperca, si ignoravano quegli altri mezzi chimici, che ora, nel ventesimo secolo, concorrono a trasformar completamente un profilo, una fisonomia, riproducendo in un individuo le sembianze di un altro.

Nella cabina del settario equilibrista venne dunque ad operarsi una di codeste meravigliose trasformazioni. Uno strato di guttaperca modellato al ritratto fotoplastico dell’Albani, iniettato di cera rosea e di liquido vitale, trasformò il Casanova completamente. Il metamorfo Furlay questa volta fu sublime di trovati, fu vero artista. Egli riprodusse l’originale nella maschera con insuperabile precisione. E non solo nei contorni del viso e del collo, ma nel colorito delle guance e delle labbra il Casanova rappresentava così fattamente l’Albani, che quegli, mirandosi nello specchio, provò un fremito di terrore, quasiché l’imagine riflessa dovesse accusarlo e svelare l’inganno.