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CANTO DUODECIMO. 65

CI.


     Ma tutti gli occhj Arsete in se rivolve,
Miserabil di gemito e d’aspetto.
Ei, come gli altri, in lagrime non solve
804Il duol, che troppo è d’indurato affetto;
Ma i bianchi crini suoi d’immonda polve
Si sparge e brutta, e fiede il volto e ’l petto.
Or mentre in lui volte le turbe sono,
808Va in mezzo Argante, e parla in cotal suono:

CII.


     Ben volev’io, quando primier m’accorsi
Che fuor si rimanea la donna forte,
Seguirla immantinente, e ratto corsi
812Per correr seco una medesma sorte.
Chè non feci, e non dissi? o quai non porsi
Preghiere al Re chè fesse aprir le porte?
Ei me, pregante e contendente invano,
816Con l’imperio affrenò che ha quì sovrano.

CIII.


     Ahi che s’io allora usciva, o dal periglio
Quì ricondotta la guerriera avrei,
O chiusi, ov’ella il terren fè vermiglio,
820Con memorabil fine i giorni miei.
Ma che poteva io più? Parve al consiglio
Degli uomini altramente, e degli Dei.
Ella morì di fatal morte, ed io
824Quant’or conviensi a me già non oblio.