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60 LA GERUSALEMME

LXXXVI.


     O Tancredi, Tancredi, o da te stesso
Troppo diverso e da i princípj tuoi;
Chi sì t’assorda? e qual nuvol sì spesso
684Di cecità fa che veder non puoi?
Questa sciagura tua del Cielo è un messo:
Non vedi lui? non odi i detti suoi?
Che ti sgrida, e richiama alla smarrita
688Strada che pria segnasti, e te l’addita?

LXXXVII.


     Agli atti del primiero uficio degno
Di cavalier di Cristo ei ti rappella:
Che lasciasti per farti (ahi cambio indegno!)
692Drudo d’una fanciulla a Dio rubella.
Seconda avversità, pietoso sdegno
Con leve sferza di là su flagella
Tua folle colpa, e fa di tua salute
696Te medesmo ministro; e tu’l rifiute?

LXXXVIII.


     Rifiuti dunque, ahi sconoscente, il dono
Del Ciel salubre, e ’ncontra lui t’adiri?
Misero, dove corri in abbandono
700A’ tuoi sfrenati e rapidi martírj
Sei giunto, e pendi già cadente e prono
Sul precipizio eterno: e tu nol miri?
Miralo, prego, e te raccogli, e frena
704Quel dolor ch’a morir doppio ti mena.