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58 | LA GERUSALEMME |
LXXX.
Così parla quel misero; e gli è detto
Ch’ivi quel corpo avean per cui si duole.
Rischiarar parve il tenebroso aspetto,
636Qual le nubi un balen che passi e vole:
E da i riposi sollevò del letto
L’inferma delle membra e tarda mole:
E traendo a gran pena il fianco lasso,
640Colà rivolse, vacillando, il passo.
LXXXI.
Ma come giunse, e vide in quel bel seno,
Opera di sua man, l’empia ferita:
E quasi un Ciel notturno anco sereno,
644Senza splendor la faccia scolorita;
Tremò così che ne cadea, se meno
Era vicina la fedele aita.
Poi disse: o viso, che puoi far la morte
648Dolce; ma raddolcir non puoi mia sorte;
LXXXII.
O bella destra, che ’l soave pegno
D’amicizia e di pace a me porgesti;
Quali or, lasso, vi trovo? e qual ne vegno?
652E voi leggiadre membra, or non son questi
Del mio ferino e scellerato sdegno
Vestigj miserabili e funesti?
O, di par con la man, luci spietate!
656Essa le piaghe fè, voi le mirate.