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CANTO DUODECIMO. | 45 |
XLI.
Rasserenando il volto, alfin gli dice:
Quella fe seguirò che vera or parmi:
Che tu col latte già della nutrice
324Sugger mi festi, e che vuoi dubbia or farmi:
Nè per temenza lascerò (nè lice
A magnanimo cor) l’impresa e l’armi.
Non se la morte, nel più fer sembiante
328Che sgomenti i mortali, avessi innante.
XLII.
Poscia il consola: e perchè il tempo giunge
Ch’ella deve ad effetto il vanto porre;
Parte, e con quel guerrier si ricongiunge
332Che si vuol seco al gran periglio esporre.
Con lor s’aduna Ismeno, e instiga e punge
Quella virtù che per se stessa corre:
E lor porge di zolfo e di bitumi
336Due palle, e in cavo rame ascosi lumi.
XLIII.
Escon notturni, e piani, e per lo colle
Uniti vanno a passo lungo e spesso;
Tanto che a quella parte ove s’estolle
340La machina nemica omai son presso.
Lor s’infiamman gli spirti, e ’l cor ne bolle,
Nè può tutto capir dentro se stesso.
Gl’invita al foco, al sangue un fero sdegno.
344Grida la guardia, e lor dimanda il segno.