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42 | LA GERUSALEMME |
XXXII.
Ed io giù scendo e ti ricolgo, e torno
Là ’ve prima fur volti i passi miei:
E preso in picciol borgo alfin soggiorno,
252Celatamente ivi nutrir ti fei.
Vi stetti insin che ’l Sol, correndo intorno,
Portò a’ mortali e dieci mesi e sei.
Tu con lingua di latte anco snodavi
256Voci indistinte, e incerte orme segnavi.
XXXIII.
Ma sendo io colà giunto ove dechina
L’etate omai cadente alla vecchiezza;
Ricco e sazio dell’or che la Regina,
260Nel partir, diemmi con regale ampiezza;
Da quella vita errante e peregrina
Nella patria ridurmi ebbi vaghezza:
E tra gli antichi amici in caro loco
264Viver, temprando il verno al proprio foco.
XXXIV.
Partomi, e ver l’Egitto, ove son nato,
Te conducendo meco, il corso invio:
E giungo ad un torrente, e riserrato
268Quinci da i ladri son, quindi dal rio.
Che debbo far? te dolce peso amato
Lasciar non voglio, e di campar desio.
Mi getto a nuoto, ed una man ne viene
272Rompendo l’acqua, e te l’altra sostiene.