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CANTO DUODECIMO. 41

XXIX.


     Io piangendo ti presi, e in breve cesta
Fuor ti portai tra fiori e frondi ascosa:
Ti celai da ciascun, chè nè di questa
228Diedi sospetto altrui, nè d’altra cosa.
Me n’andai sconosciuto, e per foresta
Camminando di piante orride ombrosa,
Vidi una tigre, che minacce ed ire
232Avea negli occhj, incontro a me venire.

XXX.


     Sovra un albero i’ salsi, e te su l’erba
Lasciai; tanta paura il cor mi prese!
Giunse l’orribil fera, e, la superba
236Testa volgendo, in te lo sguardo intese.
Mansuefece, e raddolcío l’acerba
Vista con atto placido e cortese.
Lenta poi s’avvicina, e ti fa vezzi
240Con la lingua: e tu ridi e l’accarezzi.

XXXI.


     Ed ischerzando seco, al fero muso
La pargoletta man sicura stendi.
Ti porge ella le mamme, e, come è l’uso
244Di nutrice, s’adatta, e tu le prendi.
Intanto io miro timido e confuso,
Come uom faria novi prodigj orrendi.
Poichè sazia ti vede omai la belva
248Del suo latte, si parte e si rinselva: