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CANTO DUODECIMO. 33

V.


     Buona pezza è, Signor, che in se raggira
Un non so chè d’insolito e d’audace
La mia mente inquieta: o Dio l’inspira,
36O l’uom del suo voler suo Dio si face.
Fuor del vallo nemico accesi mira
I lumi: io là n’andrò con ferro e face,
E la torre arderò: vogl’io che questo
40Effetto segua, il Ciel poi curi il resto.

VI.


     Ma s’egli avverrà pur che mia ventura
Nel mio ritorno mi rinchiuda il passo;
D’uom, che in amor m’è padre, a te la cura
44E delle fide mie donzelle io lasso.
Tu nell’Egitto rimandar procura
Le donne sconsolate, e ’l vecchio lasso.
Fallo, per Dio, Signor; chè di pietate
48Ben è degno quel sesso, e quella etate.

VII.


     Stupisce Argante, e ripercosso il petto
Da stimoli di gloria acuti sente.
Tu là n’andrai, rispose, e me negletto
52Qui lascierai tra la volgare gente?
E da sicura parte avrò diletto
Mirar il fumo e la favilla ardente?
No, no, se fui nell’arme a te consorte,
56Esser vuò nella gloria e nella morte.