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336 LA GERUSALEMME

CXL.


     Morto il duce Emireno, omai sol resta
Picciol avanzo di gran campo estinto.
Segue i vinti Goffredo, e poi s’arresta;
1116Ch’Altamor vede a piè di sangue tinto,
Con mezza spada e con mezzo elmo in testa,
Da cento lance ripercosso e cinto.
Grida egli a’ suoi: cessate; e tu barone,
1120Renditi (io son Goffredo) a me prigione.

CXLI.


     Colui, che sino allor l’animo grande
Ad alcun atto d’umiltà non torse,
Ora ch’ode quel nome, onde si spande
1124Sì chiaro suon dagli Etiópi all’Orse;
Gli risponde: farò quanto dimande,
Chè ne sei degno (e l’arme in man gli porse)
Ma la vittoria tua sovra Altamoro
1128Nè di gloria fia povera, nè d’oro.

CXLII.


     Me l’oro del mio regno, e me le gemme
Ricompreran della pietosa moglie.
Replica a lui Goffredo: il Ciel non diemme
1132Animo tal che di tesor s’invoglie.
Ciò che ti vien dall’Indiche maremme,
Abbiti pure, e ciò che Persia accoglie:
Chè della vita altrui prezzo non cerco;
1136Guerreggio in Asia, e non vi cambio o merco.