Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/362

332 LA GERUSALEMME

CXXVIII.


     Si volse Armida, e ’l rimirò improvviso;
Chè nol sentì quando da prima ei venne.
Alzò le strida, e dall’amato viso
1020Torse le luci disdegnosa, e svenne.
Ella cadea, quasi fior mezzo inciso,
Piegando il lento collo: ei la sostenne.
Le fè d’un braccio al bel fianco colonna:
1024E intanto al sen le rallentò la gonna.

CXXIX.


     E ’l bel volto, e ’l bel seno alla meschina
Bagnò d’alcuna lagrima pietosa.
Quale a pioggia d’argento e mattutina
1028Si rabbellisce scolorita rosa,
Tal’ ella, rivenendo, alzò la china
Faccia, del non suo pianto or lagrimosa.
Tre volte alzò le luci: e tre chinolle
1032Dal caro oggetto, e rimirar nol volle.

CXXX.


     E con man languidetta il forte braccio
Ch’era sostegno suo, schiva, respinse.
Tentò più volte, e non uscì d’impaccio:
1036Chè via più stretta ei rilegolla e cinse.
Alfin raccolta entro quel caro laccio,
Che le fu caro forse, e se n’infinse,
Parlando incominciò di spander fiumi,
1040Senza mai dirizzargli al volto i lumi.