Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CANTO VIGESIMO. | 329 |
CXIX.
Al Pagan, poi che sparve il suo conforto,
Sembra che insieme il giorno e ’l Sol tramonte:
Ed a lui che ’l ritiene a sì gran torto,
948Disperato si volge, e ’l fiede in fronte.
A fabbricare il fulmine ritorto
Via più leggier cade il martel di Bronte.
E col grave fendente in modo il carca,
952Che ’l percosso la testa al petto inarca.
CXX.
Tosto Rinaldo si dirizza ed erge,
E vibra il ferro, e, rotto il grosso usbergo,
Gli apre le coste, e l’aspra punta immerge
956In mezzo ’l cor, dove ha la vita albergo.
Tanto oltre va, che piaga doppia asperge
Quinci al Pagano il petto, e quindi il tergo:
E largamente all’anima fugace
960Più d’una via nel suo partir si face.
CXXI.
Allor si ferma a rimirar Rinaldo
Ove drizzi gli assalti, ove gli ajuti;
E de’ Pagan non vede ordine saldo;
964Ma gli stendardi lor tutti caduti.
Quì pon fine alle morti, e in lui quel caldo
Disdegno marzial par che s’attuti.
Placido è fatto; e gli si reca a mente
968La Donna che fuggia sola e dolente.