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CANTO UNDECIMO. 23

LXV.


     La gente che pur dianzi ardì salire
Al pregio eccelso di mural corona,
Non ch’or d’entrar nella Cittate aspire,
516Ma sembra alle difese anco mal buona:
E cede al novo assalto, e in preda all’ire
De’ due guerrier le machine abbandona:
Ch’ad altra guerra omai saran mal’atte;
520Tanto è ’l furor che le percuote e batte!

LXVI.


     L’uno e l’altro Pagan, come il trasporta
L’impeto suo, già più e più trascorre.
Già ’l foco chiede ai cittadini, e porta
524Due pini fiammeggianti inver la torre.
Cotali uscir dalla tartarea porta
Sogliono, e sottosopra il mondo porre,
Le ministre di Pluto empie sorelle,
528Lor ceraste scuotendo e lor facelle.

LXVII.


     Ma l’invitto Tancredi, il quale altrove
Confortava all’assalto i suoi Latini,
Tosto che vide le incredibil prove,
532E la gemina fiamma, e i due gran pini:
Tronca in mezzo le voci, e presto move
A frenar il furor de’ Saracini.
E tal del suo valor dà segno orrendo,
536Che chi vinse e fugò, fugge or perdendo.