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314 | LA GERUSALEMME |
LXXIV.
Stette attonito alquanto e stupefatto
A quelle prime viste, e poi s’accese:
E desiò trovarsi anch’egli in atto
588Nel periglioso campo alle alte imprese.
Nè pose indugio al suo desir; ma ratto
D’elmo s’armò, ch’aveva ogni altro arnese.
Su su, gridò, non più, non più dimora,
592Convien ch’oggi si vinca, o che si mora.
LXXV.
O che sia forse il provveder divino
Che spira in lui la furiosa mente,
Perchè quel giorno sian del Palestino
596Imperio le reliquie in tutto spente,
O che sia ch’alla morte omai vicino
D’andarle incontra stimolar si sente;
Impetuoso e rapido disserra
600La porta, e porta inaspettata guerra.
LXXVI.
E non aspetta pur che i feri inviti
Accettino i compagni; esce sol esso,
E sfida sol mille nemici uniti:
604E sol fra mille, intrepido, s’è messo.
Ma dall’impeto suo quasi rapiti
Seguon poi gli altri, ed Aladino stesso.
Chi fu vil chi fu cauto or nulla teme;
608Opera di furor più che di speme.