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CANTO VIGESIMO. 311

LXV.


     Ma non fu la percossa invan diretta,
Chè al Cavalier sul duro usbergo è giunta
Duro ben troppo a femminil saetta,
516Chè di pungere in vece ivi si spunta.
Egli le volge il fianco: ella negletta
Esser credendo, e d’ira arsa e compunta,
Scocca l’arco più volte, e non fa piaga:
520E mentre ella saetta, Amor lei piaga.

LXVI.


     Sì dunque impenetrabile è costui,
(Fra se dicea) che forza ostil non cura?
Vestirebbe mai forse i membri sui
524Di quel diaspro, ond’ei l’alma ha sì dura?
Colpo d’occhio o di man non puote in lui:
Di tai tempre è il rigor che l’assicura!
E inerme io vinta sono, e vinta armata:
528Nemica, amante, egualmente sprezzata.

LXVII.


     Or qual’arte novella, e qual m’avanza
Nova forma in cui possa anco mutarmi?
Misera, e nulla aver degg’io speranza
532Ne’ cavalieri miei; chè veder parmi,
Anzi pur veggio, alla costui possanza
Tutte le forze frali e tutte l’armi.
E ben vedea de’ suoi campioni estinti
536Altri giacerne, altri abbattuti e vinti.