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310 | LA GERUSALEMME |
LXII.
Declina il carro il Cavaliero, e passa,
E fa sembiante d’uom cui d’altro cale.
Ma senza pugna già passar non lassa
492Il drappel congiurato il suo rivale.
Chi’l ferro stringe in lui, chi l’asta abbassa:
Ella stessa in sull’arco ha già lo strale.
Spingea le mani e incrudelia lo sdegno:
496Ma le placava, e n’era Amor ritegno.
LXIII.
Sorse Amor contra l’ira, e fè palese
Che vive il foco suo ch’ascoso tenne.
Le man tre volte a saettar distese,
500Tre volte essa inchinolla, e si ritenne.
Pur vinse alfin lo sdegno, e l’arco tese
E fè volar del suo quadrel le penne.
Lo stral volò; ma con lo strale un voto
504Subito uscì, che vada il colpo a voto.
LXIV.
Torria ben ella che’l quadrel pungente
Tornasse indietro, e le tornasse al core:
Tanto poteva in lei, benchè perdente,
508(Or che potria vittorioso?) Amore.
Ma di tal suo pensier poi si ripente:
E nel discorde sen cresce il furore.
Così or paventa, ed or desia che tocchi
512Appieno il colpo: e ’l segue pur con gli occhj.