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308 | LA GERUSALEMME |
LVI.
I Libici Tiranni, e i negri Regi,
L’un nel sangue dell’altro a morte stese.
Dier sovra gli altri i suoi compagni egregj,
444Cui d’emulo furor l’esempio accese.
Cadeane con orribili dispregj
L’infedel plebe, e non facea difese.
Pugna questa non è, ma strage sola,
448Che quinci oprano il ferro, indi la gola.
LVII.
Ma non lunga stagion volgon la faccia,
Ricevendo le piaghe in nobil parte.
Fuggon le turbe: e sì il timor le caccia,
452Ch’ogni ordinanza lor scompagna e parte.
Ma segue pur senza lasciar la traccia,
Sinchè le ha in tutto dissipate e sparte:
Poi si raccoglie il vincitor veloce,
456Che sovra i più fugaci è men feroce.
LVIII.
Qual vento a cui s’oppone o selva o colle,
Doppia nella contesa i soffj e l’ira;
Ma con fiato più placido e più molle
460Per le campagne libere poi spira.
Come fra scoglj il mar spuma e ribolle:
E nell’aperto onde più chete aggira.
Così quanto contrasto avea men saldo,
464Tanto scemava il suo furor Rinaldo.