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CANTO DECIMONONO. 281

CXIII.


     Perocchè ’l velo suo bastar non puote,
Breve e sottile, alle sì spesse piaghe.
Dittamo e croco non avea; ma note
900Per uso tal sapea potenti e maghe.
Già il mortifero sonno ei da se scuote:
Già può le luci alzar mobili e vaghe.
Vede il suo servo, e la pietosa donna
904Sopra si mira in peregrina gonna.

CXIV.


     Chiede: o Vafrin, quì come giungi, e quando?
E tu chi sei, medica mia pietosa?
Ella fra lieta e dubbia, sospirando,
908Tinse il bel volto di color di rosa.
Saprai, rispose, il tutto: or (te ’l comando,
Come medica tua) taci, e riposa.
Salute avrai: prepara il guiderdone.
912Ed al suo capo il grembo indi soppone.

CXV.


     Pensa intanto Vafrin come all’ostello
Agiato il porti anzi più fosca sera:
Ed ecco di guerrier giunge un drappello.
916Conosce ei ben che di Tancredi è schiera.
Quando affrontò il Circasso, e per appello
Di battaglia chiamollo, insieme egli era.
Non seguì lui, perch’ei non volle allora,
920Poi dubbioso il cercò della dimora.