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CANTO DECIMONONO. | 271 |
LXXXIII.
Anzi pregar ti vuò che, quando torni,
Mi riconduca alla prigion mia cara.
Torbide notti e tenebrosi giorni,
660Misera, vivo in libertate amara.
E se quì per ispia forse soggiorni,
Ti si fa incontro alta fortuna e rara.
Saprai da me congiure, e ciò ch’altrove
664Malagevol sarà che tu ritrove.
LXXXIV.
Così gli parla; e intanto ei mira e tace;
Pensa all’esempio della falsa Armida.
Femina è cosa garrula e fallace:
668Vuole, e disvuole: è folle uom che sen fida.
Sì tra se volge: or se venir ti piace,
Alfin le disse, io ne sarò tua guida.
Sia fermato tra noi questo e conchiuso
672Serbisi il parlar d’altro a miglior uso.
LXXXV.
Gli ordini danno di salire in sella
Anzi il mover del campo allora allora.
Parte Vafrin del padiglione, ed ella
676Si torna all’altre, e alquanto ivi dimora.
Di scherzar fa sembiante, e pur favella
Del campion novo, e se ne vien poi fuora:
Viene al loco prescritto, e s’accompagna:680Ed escon poi del campo alla campagna.