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270 | LA GERUSALEMME |
LXXX.
Ritirollo, e parlò: riconosciuto
Ho te, Vafrin, tu me conoscer dei:
Nel cor turbossi lo scudiero astuto;
636Pur si rivolse, sorridendo, a lei:
Non t’ho (che mi sovvenga) unqua veduto;
E degna pur d’esser mirata sei.
Questo so ben, ch’assai vario da quello,
640Che tu dicesti, è il nome, ond’io m’appello.
LXXXI.
Me, su la piaggia di Biserta apríca,
Lesbin produsse, e mi nomò Almanzorre:
Tosto, disse ella, ho conoscenza antica,
644D’ogni esser tuo: nè già mi voglio apporre.
Non ti celar da me, ch’io sono amica,
Ed in tuo pro vorrei la vita esporre.
Erminia son, già di Re figlia, e serva
648Poi di Tancredi un tempo, e tua conserva.
LXXXII.
Nella dolce prigion due lieti mesi
Pietoso prigionier m’avesti in guarda:
E mi servisti in bei modi cortesi.
652Ben dessa i’ son, ben dessa i’ son: riguarda.
Lo scudier, come pria v’ha gli occhj intesi,
La bella faccia a ravvisar non tarda.
Vivi (ella soggiungea) da me sicuro:
656Per questo Ciel, per questo Sol te ’l giuro.