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CANTO DECIMONONO. 269

LXXVII.


     Era tornato ov’è pur anco assisa,
Fra’ suoi campioni, la nemica amante:
Ch’ivi opportun l’investigarne avvisa,
612Ove traean genti sì varie e tante.
Or quì s’accosta a una donzella, in guisa
Che par che v’abbia conoscenza innante;
Par v’abbia d’amistade antica usanza,
616E ragiona in affabile sembianza.

LXXVIII.


     Egli dicea, quasi per gioco, anch’io
Vorrei d’alcuna bella esser campione:
E troncar penserei col ferro mio
620Il capo o di Rinaldo o del Buglione.
Chiedila pure a me, se n’hai desio,
La testa d’alcun barbaro barone.
Così comincia, e pensa appoco appoco
624A più grave parlar ridurre il gioco.

LXXIX.


     Ma in questo dir sorrise, e fè, ridendo,
Un cotal atto suo nativo usato.
Una dell’altre allor quì sorgiungendo,
628L’udì, guardollo, e poi gli venne a lato;
Disse: involarti a ciascun’altra intendo:
Nè ti dorrai d’amor male impiegato.
In mio campion t’eleggo; ed in disparte,
632Come a mio cavalier, vuò ragionarte.