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266 | LA GERUSALEMME |
LXVIII.
Vedele incontra il fero Adrasto assiso
Che par ch’occhio non batta e che non spiri;
Tanto da lei pendea: tanto in lei fiso
540Pasceva i suoi famelici desiri!
Ma Tisaferno, or l’uno or l’altro in viso
Guardando, or vien che brami, or che s’adiri:
E segna il mobil volto or di colore
544Di rabbioso disdegno, ed or d’amore.
LXIX.
Scorge poscia Altamor che, in cerchio accolto
Fra le donzelle, alquanto era in disparte.
Non lascia il desir vago a freno sciolto;
548Ma gira gli occhj cupidi con arte.
Volge un guardo alla mano, uno al bel volto:
Talora insidia più guardata parte:
E là s’interna ove mal cauto apria,
552Fra due mamme, un bel vel secreta via.
LXX.
Alza alfin gli occhj Armida, e pur alquanto
La bella fronte sua torna serena;
E repente fra i nuvoli del pianto
556Un soave sorriso apre, e balena.
Signor, dicea, membrando il vostro vanto,
L’anima mia puote scemar la pena:
Chè d’esser vendicata in breve aspetta:
560E dolce è l’ira in aspettar vendetta.