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CANTO DECIMONONO. | 261 |
LIII.
Tacque: e poi se n’andò là dove il Conte
Riavuto dal colpo anco ne geme.
Nè Soliman con meno ardita fronte
420Ai suoi ragiona, e ’l duol nell’alma preme:
Siate, o compagni, di Fortuna all’onte
Invitti, insin che verde è fior di speme:
Chè sotto alta apparenza di fallace
424Spavento, oggi men grave il danno giace.
LIV.
Prese i nemici han sol le mura e i tetti
E ’l volgo umil, non la Cittade han presa:
Chè nel capo del Re, ne’ vostri petti,
428Nelle man vostre è la Città compresa.
Veggio il Re salvo, e salvi i suoi più eletti:
Veggio che ne circonda alta difesa.
Vano trofeo d’abbandonata terra
432Abbiansi i Franchi, alfin perdran la guerra.
LV.
E certo i’ son che perderanla alfine;
Chè nella sorte prospera insolenti
Fian volti agli omicidj, alle rapine,
436Ed agl’ingiuriosi abbracciamenti:
E saran di leggier tra le ruine,
Tra gli stupri e le prede oppressi e spinti,
Se in tanta tracotanza omai sorgiunge
440L’oste d’Egitto: e non puote esser lunge.